lunedì 30 settembre 2013

Chi lascia la strada vecchia per la nuova...

A me il cambiamento fa paura.
Avevo paura ad andare a vivere a Forlì, per due anni. Anche perché a Milano ci lasciavo Cody.
Avevo paurissima di tornare, oddio, e se gli amici mi avevano dimenticata? E se poi a casa con i miei non ci resistevo più?
Ho avuto paura quando ho dovuto cambiare lavoro. Ero terrorizzata quando sono rimasta incinta.
Me la facevo sotto quando ho iscritto Bibi al nido, e ancora di più quando ho ricominciato a lavorare. 
E ho paura anche di lasciare la strada vecchia per la nuova, e ho paura che se dico di "no", deluderò qualcuno. Ho paura che si parli male di me. Ho paura di far del male. Ho paura di tutto, insomma.
Ecco, decidere è sempre difficile, soprattutto se si ha paura.

venerdì 27 settembre 2013

The day before (the weekend)

Venerdì è una giornata particolare.
Sa di weekend, ma sei in ufficio. Magari ti vesti da casual friday, ma fino all'orario di uscita devi comunque fare il tuo lavoro.

Nel mio caso, pianifico il weekend via con Cody e il Nano, ma sono in ufficio. 

Oggi si sclera di brutto, il CapoPadre ha fatto piangere una l'ennesima collega, e mentre lei andava via dal suo ufficio con il magone, ha detto a voce neanche bassa "Questa qui non capisce un c****". E lei l'ha pure sentito. Dal canto mio, penso che CapoPadre si meriterebbe la lettera di dimissioni di tutti i dipendenti, lunedì sulla sua scrivania. Così capirebbe che non può davvero fare tutto lui, che almeno un po' ha bisogno di noi.

Il cielo è grigio, il nostro weekend via (in montagna? al lago? a Mantova? in Svizzera?) è minacciato dalla pioggia. 

Sto leggendo un libro apocalittico che mi assorbe completamente, questo. E fino a qualche mese fa non pensavo nemmeno che Stephen King potesse piacermi. Però questo libro mi sta assorbendo a tal punto che me lo sogno la notte. E a pagina 729, mentre mangiavo, ho quasi pianto.
Sto pensando di fare un post su quanto sia importante per me la lettura, quanto mi assorba fisicamente, per spiegare come mi fanno sentire i libri.
Comunque, forse è anche per via del libro che questo venerdì mi sembra così nero.

Oggi è venerdì, uno di quei venerdì che aspetti solo che finisca.

martedì 24 settembre 2013

Solo un piccolo appunto

Al mio grande, grande, grande amore Cody.

Ho già raccontato di come a volte rida come una scema, in ufficio, perché tra una cosa e l'altra guardo dei siti web che mi fanno ridere.

Stamattina sono arrivata in ufficio nello stesso stato in cui sarei se avessi passato la notte insonne, a rincorrere zanzare, ad abbracciare un arrosto di 13kg umido e caldo e a stare mezzo sdraiata con il collo storto in una striscia di materasso di circa 30 centimetri

Perché in effetti ho passato la notte insonne, a rincorrere una zanzara, ad abbracciare Bibi sudato e caldissimo, a stare mezzo sdraiata con il collo storto in una striscia di materasso di circa 30 centimetri, per far stare lui seduto a dormire. Ha avuto un altro laringospasmo, stavolta lunghissimo. Ora sta bene, per fortuna.

Dicevo, arrivo in ufficio che sono uno straccio.
La pausa caffè la faccio a base di caffè è (famosa bevanda che dovrebbe darmi la forza di stare in piedi). 
Cerco di tenermi impegnata, perché temo che se avessi anche solo 4 minuti di noia, mi addormenterei sulla tastiera del pc.

Ora, tu, carissimo Cody, che sei entrato dopo in ufficio per recuperare almeno un'ora di sonno insieme a Bibi (che finalmente dormiva), non puoi scrivermi questo:

"Sono distrutto anch'io. Bibi si è svegliato alle 8,15 urlando "Uuuuuiii, uuuuuiii il fuoco!". Era la luce che filtrava dalle tapparelle."

Non puoi scriverlo, perché poi io muoio dal ridere, nascosta dietro allo schermo del pc.

lunedì 23 settembre 2013

Post del lunedì

Già il lunedì è difficile. Già mi sono svegliata con un ritardo tale che più che uscire di casa sono scappata, quasi calandomi dalla finestra (mannaggia a quelli del sesto piano che mi rubano l’ascensore tutte le sante mattina). Quando poi al lunedì ha nulla o quasi da fare, il lunedì è mostruoso.

Così non facevo nulla. E pensavo.

Al lavoro, anche se sei in una megasuperipermaximultinazionale, c’è sempre un aspetto umano. Conosci i colleghi, i capi, chi ti sta intorno. E inevitabilmente ti affezioni. Non può essere che sia solo io a sentire questa cosa.

E quando lavori insieme a qualcuno, la sua vicenda personale, se la conosci, in qualche modo ti influenza. Per forza. Vero? 
Però, pensavo, se le vicende personali arrivano a essere così tanto condivise e vissute da chi ti sta intorno, da influenzare l’aspetto lavorativo, non è il caso di prendere un po’ di distanza dal lato umano? 
Cioè, che tu sia il mio capo, un mio collega o un mio sottoposto (si dice così? Che ne so, io non sono mai stata la superiore di nessuno, sul lavoro), se la tua storia personale arriva a non farmi lavorare bene con te, a non farti lavorare bene, oppure a influenzare l’umore di un ufficio intero, non è il caso di fare un passo indietro? 
Ecco, pensavo questo. 
Che tu puoi avere tutti i **** problemi di questo mondo, ma non pensare che anche gli altri non abbiano i **** loro.  Pensa invece che LORO ci provano, a non farteli pesare. E a lavorare comunque.
Sgrunt.

Post del sabato, in ritardo

Ci conosciamo dalla prima liceo. 
Anzi, una di loro la conosco dalle elementari. 
Eravamo compagne di scuola. Dopo la maturità, sono praticamente le uniche compange di classe con cui ho mantenuto contatti. Io le chiamo “Le fantastiche 5”. 
Sabato ci siamo viste, dopo settimane. Siamo andate in un bar in centro, tipo Starbucks. Era bellissimo guardarci, almeno da dentro.

Siamo sei, di cui tre sposate, una convivente e due (?) single. Tutte più o meno lavoratrici. Liceo linguistico, in quattro abbiamo continuato a studiare lingue, le altre due era più da giurisprudenza. N. sosterrà l’esame di Stato a fine anno, M. ha mollato dopo poco e ora è quella meno “laureata” ma con il lavoro migliore. Una delle due mamme sono io, l’altra, F.,  ha un cucciolo di quasi un anno ed è combattuta tra cercare di nuovo lavoro (l’ha perso, come me, causa gravidanza) o continuare ancora un po’ a fare la mamma, perché è tanto bello.
Quando siamo tutte insieme, facciamo parecchio casino. I discorsi si incrociano, gli aggiornamenti vengono annunciati con più o meno solennità, si ride tanto ma sappiamo anche essere serie. A. ci racconta della sua ultima (e ormai temo, rimpianta) conquista, un tipo strambo mollato settimane fa, che le manda sms con scritto “Buongiorno, respira” e che rasenta lo stalking. Noi prima ci divertiamo a leggere i suoi messaggi, poi passiamo a consigli semi-seri con contorno di minacce legali varie da N.
M. ci fa notare che siamo passate dalle serate con mojito e birra ai sabati pomeriggio con cappuccino e muffin. L. ha finito una traduzione, ma non ha molte novità (o magari le ha dette mentre io ascoltavo qualche altro discorso). Diventa di nuovo zia, e si informa se la prima nipotina può diventare “sua” per usucapione visto che ormai suo fratello e la moglie avranno un altro bambino. F. ha avuto un’offerta di lavoro, ma non le hanno ancora preso il bambino al nido, e non sa se accettare. Io racconto del contratto in scadenza, del mio Bibi e anche di mille altre cose (si sa che sono logorroica), mi dimentico di annunciare che ho un blog. Sai che annuncio… N. è tesa per l’esame e racconta alle altre di quando io e lei ci vediamo a pranzo (lavoriamo nella stessa via).  Racconta di quella mia collega, che ha un bambino dell’età del mio Nano, che è in fissa con la “pancetta” che le è rimasta. N. l’ha conosciuta, e la prima cosa che le ha chiesto è stata “Ma sei incinta?”

Ci scambiamo i regali. Da un paio d’anni, ogni volta che ci si vede, è come Natale. Ci “mettiamo in pari” con i compleanni. Ci regaliamo tanti libri, cose per la casa e per il trucco. F. stavolta riceve un buono virtuale per una serata a teatro con suo marito, senza il bambino. Perché capiamo che dopo quasi un anno in cui fai solo sempre e unicamente la mamma, forse ha voglia di staccare un po’, e secondo noi ne ha diritto. Noi in cambio invaderemo casa sua per babysitterare il piccolino.

Siamo passate dallo scriverci sms sulle interrogazioni, passarci i compiti e studiare in biblioteca interrogandoci a vicenda a fare le vacanze insieme, a sbronzarci uscire la sera insieme, e poi a organizzare matrimoni e andare a trovare in ospedale i nostri figli appena nati. Dai libri di scuola, ai manuali di puericultura, ai cv tradotti in inglese per cercare lavoro. Abbiamo litigato, fatto pace, ci siamo un po’ perse di vista e poi riavvicinate.

Per quanto mi riguarda, loro asciugavano le mie lacrime a scuola, quando il grande amore della mia adolescenza – uno che non so cosa ci ho trovato, per circa 6 anni, meno male che poi mi ha mollata lui, aprendomi gli occhi – mi faceva soffrire. Facendo il filo a una che ora è sposata, non con lui, e ha sei figli. Loro c’erano mentre preparavamo la maturità, e hanno assistito al mio orale. Loro c’erano a entrambe le mie lauree. Erano lì al funerale di mio nonno, al battesimo del Nano e al mio matrimonio.


Quando F. si è sposata, a giugno, abbiamo scritto un discorso da fare durante la festa. E lei il giorno dopo ci ha ringraziate con un messaggio, dicendo che ormai ci conosciamo da metà della nostra vita!

Beh, io penso che è una bella metà di vita, con voi, amiche.

venerdì 20 settembre 2013

Venerdì pomeriggio

Pensiero di fine settimana.
Anzi, preghierina del 20 settembre.

Caro Gesù, potresti fare per favore che la prossima settimana, uno, almeno uno dei miei contatti mi risponda "Ma sì, certo! La vostra merce è proprio quello che cercavo, l'offerta è interessante, vorrei fare un ordine!" E magari poi faccia un bell'ordine, pagando puntuale e senza problemi?

Ecco, lo so che in giro ci sono un sacco di guerre, tanti bambini in difficoltà, uomini e donne che soffrono e meritano la tua attenzione mooolto più di me. Ma magari a qualche santo in Paradiso, un santo di quelli minori, tipo quelli che sul calendario non si vedono mai, avanzano cinque minuti. 
E allora magari mi esaudisce. 
No, perché io avrei un contratto in scadenza. 
E qui non si vende un piffero. Sai com'è... San Piripicchio, ci sei?
Se ti avanzano i famosi cinque minuti, ti chiederei anche di poter dormire un po', questo weekend. E di avere un paio d'ore per godermi la mia piccola famiglia, allegramente, senza pensieri. 

Ah, San Piripicchio dimenticato dai calendari, guarda che ogni tanto anch'io mi sento dimenticata. Mi sembra che la mia vita sia tutta scandita da cucinare-lavare-giocareconlemacchine-lavorarelavorarelavorare e sentirmi in colpa per tutto quello che non riesco a fare, ed è parecchio. Mi sembra di dimenticarmi di me stessa e degli altri. Mi sento brutta, grassa e cattiva.
Ma poi Bibi mi sorride e tutto torna bello. San Piripicchio, guarda anche tu com'è bello Bibi quando sorride. Vedrai che non ti senti più dimenticato.

PS: Lo so che sono logorroica. Non ho capacità di sintesi, me lo dicono sempre tutti. Ma sto cercando di accorciare i post. Così se qualcuno mi legge riesce ad arrivare in fondo senza addormentarsi.

Buon fine settimana

martedì 17 settembre 2013

PREMESSA: lavoro in un ufficio dove ci sono un Capo Padre [CP], 80enne circa, che ancora è attivissimo e segue tutti (e dico tutti) gli aspetti del lavoro dell’azienda, e un Capo Figlio, [CF] 40enne circa, che non credo volesse proprio ereditare l’azienda di famiglia. 
Infatti passa la gran parte del suo tempo a gestire un’attività vagamente collegata a quello che facciamo qui noi. Per capirsi, noi qui si lavora con import-export alimentare, e lui gestisce dei ristoranti, oltre che l’azienda.

Il Capo Padre è un utOnto (cit.) per motivi anche anagrafici. Ad esempio, stampa tutte le mail delle quali è mittente, destinatario, destinatario c/c e anche le mail che chiede gli vengano inoltrate ma che non lo riguardano direttamente… le stampa, le conserva per un po’ e poi le archivia in un faldone “E-mail”. Controlla che le somme delle tabelle Excel che creiamo siano giuste, perché "Lei ha fatto queste somme, eh, vediamo un po'... " (Io una volta ho provato a spiegargli che il computer le somme le fa in automatico e sono per forza giuste, ma dietro di lui, che era già a battere sulla calcolatrice, un collega ha scosso la testa come a dirmi di lasciar perdere).

Questo CP ogni tanto ha degli accessi di rabbia nel nostro ufficio e urla: “Ma qui non si può lavorare, (parolaccia)! Questo ufficio fa schifo! Io non ho mai lavorato così male, CF! Vorrei vedere, se questi dipendenti andassero in ufficio da (nostro famoso concorrente) quanto durerebbero!” Il tutto accompagnato da intercalari coloriti e lancio di materiale di cancelleria.

Guai a sbagliare qualcosa nei processi che lui tiene accuratamente sotto controllo. Guai a non rispondere prontamente alle sue domande. Ha una memoria di ferro, mentre io semplicemente non ricordo mai nulla. Io dimentico tutto, all’istante. Per questo mi scrivo ogni cosa. Soprattutto per quel poco che ho da fare con lui. 
E' già capitato che mi chiamasse e mi dicesse: "Ho qui i documenti di (lotto e data fornitura), per quel problema (quale, quale problema??), ecco, si ricorda?" e io in risposta ho farfugliato qualcosa che finiva con "Controllo e la richiamo". Segue attacco di panico e ricerca spasmodica di documenti relativi a un problema di cui forse nemmeno ero a conoscenza.

Riporto qui conversazione avvenuta pochi giorni fa tra CapoPadre e mia Collega.
Notare, noi siamo un unico ufficio su due piani.
CP: (entra nell'ufficio senza salutare né dire a chi si sta rivolgendo) Ma voi qui avete quell’elenco dei numeri?
Collega: ?
CP: Sì, noi giù abbiamo un elenco con i nomi da chiamare e dei numeri per chiamarli.
Collega: ?
CP: Come ad esempio (nome fornitore) è (numero di 4 cifre).
Col: Ah, la selezione breve. Sì, ce l’abbiamo anche noi. Ho il file sul computer.
CP: Ecco, quello è un file utile, e dato che è utile perché non stamparlo e metterlo a disposizione?
Col: …
(Io penso) Quanto darei per leggere nel pensiero di Collega in questo momento.
Col: Deve fare una telefonata?
CP: Sì, a (fornitore). Mi dà il numero?
Col: Certo, eccolo. (Fa partire una stampa dell’elenco completo). Ecco l’elenco, così se le serve ancora ce l’ha.
CP: Grazie. Ecco, stampi anche quello dei cellulari così ce l’ho.

Commento: ma perché uno, anche se è il Super Mega Direttore Galattico, non fa direttamente le domande per quello che gli serve, invece di arzigogolare per mezz'ora cose inutili, che servono solo ad affermare la sua posizione di maschio alfa?

Ulteriori considerazioni sul CP.

La mia azienda è passata da avere un grande ufficio nel centro di Milano + uno più piccolo sempre in centro, al secondo ufficio piccolo e basta. Ufficio che si trova nello stesso condominio dove vive CP.

CP e CF fanno il possibile per ridurre i costi, data la crisi in cui versa l'azienda mondiale.
Vedi l’essere passati da un ufficio grande e spazioso per il commerciale + uno piccolo per la contabilità, a uno piccolo su due piani dove lo spazio a disposizione è quello dei cubicles americani, all’incirca.

Da quando lavoro qui, come risposta a qualche mia – credevo innocua – richiesta, ho ricevuto le seguenti “chicche”:
- No, non abbiamo la macchinetta dell’acqua. L’affitto costava troppo. Quindi l’acqua te la porti da casa o la compri al bar (per la modica cifra di circa 2€ al litro).
- Una volta avevamo un fornitore che portava delle casse d’acqua in ufficio, pagavamo tutto noi dipendenti. Poi CP si è stufato di avere l’ufficio ingombrato di bottiglie d’acqua e abbiamo dovuto smettere di farlo venire.
- No, non abbiamo un sistema di backup generale. Costava troppo. Ognuno fa quello che può/vuole. Ti si è rotto il pc? Eh, vedi se riesci a sistemarlo da sola. (Comecomecome???) Beh, allora chiamiamo un tecnico. Purtroppo.
- CP dice che il rotolo di carta per asciugarsi le mani in bagno costa troppo. (Quindi cercheremo un fornitore più economico, vero?) Quindi forse smette di comprarla. (E noi come ci asciughiamo le mani?? Mi devo portare l’asciugamano con il nome come all’asilo?)
- Guarda, una volta a Natale si faceva cena aziendale, si riceveva panettone e regali. Poi solo il cesto. Poi panettone, sempre più piccolo e economico. Da un paio d’anni, ci tocca una bella stretta di mano e tanti auguri.
- Non usare quella calcolatrice, è rotta. Condividiamone una, perché tanto CP non ne ordina più.


Mi viene in mente il racconto di un’amica riguardo alla riunione convocata una volta dal suo capo, per invitare i dipendenti a non fare la cacca nei bagni dell'ufficio, per non consumare troppa carta igienica!

lunedì 16 settembre 2013

I blog degli altri.

Questo blog nasce da un’esigenza mia, di scrivere.
Mi sono ispirata, ovviamente, ai blog che seguo.

Ce n’è uno cristiano, che parla di preghiere e questioni profonde ed esistenziali. Creato da una mamma, racconta però anche delle sue avventure famigliari, la preghiera della sera e le domande teologiche delle figlie piccole, le dinamiche uomo-donna, le serate in cui mentre sbucci le carote interroghi un figlio in matematica e sgridi gli altri che hanno litigato. Ce n’è poi uno di una mamma single, forte e che abita vicino a dove ho studiato; mi piace cosa scrive e come lo scrive, a volte mi fa ridere ma spesso anche riflettere. Seguo anche un papà blogger, partenopeo, educatore di professione, con due figli favolosi.
Altro blog cristiano, è quello tenuto dall’ex prete del mio oratorio, classe ‘78,  credo abbia 54 lettori, ma è bello, e poi leggere quello che scrive uno che conosci (e del quale, in questo caso, hai anche una buonissima opinione) è sempre interessante. È il prete che ci ha sposati e ha tenuto il nostro oratorio per 10 anni. Mi conosce da più tempo di mio marito, ed essendo stato anche il mio confessore sa anche qualche mio segreto. Seguo divertita anche un blog di un amministratore di sistema, che fa molto ridere, anche se mi sa che pure io sono un’utOnta. Blog che ormai non è più attivo, in realtà, ma lo sto leggendo a ritroso, e imparo anche alcune cose!
Infine, guardo spesso il blog di una mamma giornalista, che scrive su una grande rivista e al momento aspetta la terza figlia. Leggendo il suo blog sono più volte scoppiata a ridere in ufficio, in mezzo al silenzio. Ha due bambini fantastici e racconta di uno stile di vita che mi piace molto.
Ci sono altri blog che guardo più raramente, principalmente scritti da mamme o da “ecologiste salva-mondo” come me. Ho letto tutto d'un fiato anche quello di una mamma con una figlia grande e due gemelli, maschi, più piccoli, ma leggendolo a ritroso ho scoperto solo dopo che era blog non attivo dal 2011.

Vedendo quello che ognuna di queste persone condivideva, e vedendo che mi piaceva leggerli, seguendo un po’ le vite degli altri e confrontandole con la mia, ho pensato che forse anch’io potevo raccontare un po’ di me. 
Credo che in realtà non importerà mai a molti, della mia vita, ma io intanto la racconto.
E poi chissà.


giovedì 12 settembre 2013

Un nodo allo stomaco

Lei stamattina si è svegliata male. A volte le capita. Lo stomaco pulsa, la testa ragiona lentamente, vede tutto come se avesse una patina grigia appoggiata sopra. Non ci sono motivi particolari. E quando è così, allora a volte le viene in mente lui.

Lui era bello. Era un suo compagno delle medie, ripetente. Si ricorda il primo giorno di scuola, la prof di francese che li aveva accolti nella nuova classe. Lui era al primo banco. Capelli scuri, mossi, un po’ lunghi. Occhi neri e profondi, faccia da furbetto. Era l’ultimo di tre o quattro figli, arrivato tanti anni dopo gli altri. Era già zio, la prima sorella era sposata con una bambina.
Gli altri maschi avevano fatto gruppo con lui, all'inizio perché era più grande, poi perché aveva sempre qualcosa da raccontare o da organizzare, qualcosa da combinare.
La famiglia non lo seguiva moltissimo, diciamo che era sempre quello che i soldi per la gita li portava il giorno stesso e i libri li portava in classe la seconda o terza settimana di lezione. 
Però. Era il più bello della scuola. Soprattutto in terza, quando loro erano “i grandi”. Le ragazzine morivano per lui. 
E anche a lei piaceva, un po’. Certo, era scapestrato, ma era bello. Bellissimo. Lui notava soprattutto quelle che si mettevano in mostra, quelle che lo cercavano, e non erano poche. Lei stava ancora prendendo le misure con questo nuovo corpo da adolescente, con i primi chiletti di troppo, di certo non stava a rincorrere i maschi.

Poi, in terza, una qualche prof ebbe l’intuizione di metterli vicini di banco: lei, tanto brava, avrebbe aiutato lui, che invece di studiare proprio non ne aveva voglia, a prepararsi agli esami. E lì era scattato qualcosa, che era cresciuto piano piano. A un paio di mesi dalla fine della scuola, si erano messi insieme. Qualche bacio, le passeggiate mano nella mano durante l’intervallo, studiavano insieme per gli esami e  il risultato era che lui andava meglio, lei invece durante le lezioni si distraeva a guardarlo. Nemmeno ci credeva, che il più bello della scuola avesse scelto proprio lei.

Dopo gli esami era diventata una storia come le altre, durante l’estate lei l’aveva lasciato. Per un altro. Che a sua volta, alla fine delle vacanze, aveva lasciato lei. Loro si erano persi di vista, erano andati in due scuole diverse. 

Al liceo, lei; all'istituto tecnico lui. Le dicevano che aveva il motorino, cambiava fidanzata ogni settimana, aveva iniziato a fumare, a scuola non andava certo bene. E lei pensava a volte che quello di cui le raccontavano le gesta era lo stesso che al telefonino – in prestito di sua mamma – mentre lei lo lasciava, aveva detto “Ma come, ma no! Io sono qui che parlo di te tutti i giorni, che conto con i miei amici i giorni che mancano al tuo ritorno…”.

Poi, un giorno d’agosto, due anni dopo averlo lasciato, lei era nello stesso luogo di villeggiatura di sempre. Aveva ricevuto una chiamata sul cellulare, questa volta il SUO cellulare, da un’amica che sentiva raramente. L’amica, tra i singhiozzi le aveva solo detto: “G. è morto”. Lei aveva visto nero. Si era seduta, per terra, lì dov'era, sul marciapiede. Il funerale sarebbe stato il giorno dopo. Era stato un incidente, lui era affogato in un fiume. Quando il nero dai suoi occhi era sfumato, lei era corsa, in lacrime, da sua mamma. 

Al funerale non ci erano andati, ma ad una commemorazione per G. sì, qualche giorno dopo il rientro dalle ferie. 
La madre aveva distribuito un'immagine di lui, con una frase. "Non c'è dono più grande di chi dona la propria vita per i suoi amici".
Erano stati al cimitero, dove la lapide non era ancora pronta e la Sua bara era coperta solo da cemento bianco e da una foto attaccata con il nastro adesivo. Lei aveva anche parlato durante una commemorazione fatta alla loro scuola media, durante una qualche festa, forse quella di Natale. Non sa ricordare cosa disse quel giorno. Negli anni, aveva ancora pianto, tante volte.

Da quel momento, lei aveva pensato spesso a lui, e a volte credeva che se non lo avesse lasciato, quel giorno, forse tutto sarebbe stato diverso. Di sicuro, tutto sarebbe stato diverso. 

E forse quel giorno lui sarebbe stato con lei, al mare, con i suoi, chissà. E non al fiume, dove due amici, mentre facevano il bagno, si erano sentiti male. E allora lui, non essendo là, non si sarebbe tuffato per salvarli, finendo poi intrappolato in un vortice. Lui non sarebbe stato tirato fuori, sdraiato sulla spiaggia e coperto da un telo. I carabinieri non avrebbero chiamato sua mamma per dirle “Signora, deve venire qui, è successo che suo figlio è affogato”. 
Insomma, per lungo tempo lei si era chiesta se quello che era successo non fosse anche colpa sua. Poi una notte aveva sognato Lui, che le parlava e le diceva che la perdonava.

Quando era incinta, di poche settimane, aveva sognato lui che le diceva “Sai, a volte ci danno la possibilità di tornare. Perché io sono morto giovane, non ho visto quasi niente della vita. Adesso potrò vedere tutto.” 
E Lei aveva saputo che il bambino che portava in grembo era maschio, e aveva anche deciso il nome.

Ora quel nome lei lo ripete tutti i giorni, centinaia di volte, perché è quello del suo bambino. Ed è da un po’ che non sogna Lui
Ma lo rivede, a volte, negli occhi di suo figlio. 
Quel figlio che appena nato, per qualche giorno aveva avuto i capelli ricci e neri, e solo lei sa il perché, dato che in famiglia sono tutti biondi.



Questo post finisce con una frase, di un film, detta da Penelope Cruz: 
“È la prima volta che racconto questa storia.”

martedì 10 settembre 2013

Riflessioni sparse

Non ho ancora fatto un post sull'ufficio. Non riuscirei a spiegare cosa faccio, come lo faccio e soprattutto cosa penso, di questo lavoro, senza essere troppo precisa sui dettagli. Che poi per sbaglio un collega mi becca, o peggio, un capo, e finisco su corriere.it come "Dipendente sputtana ufficio su blog, licenziata in tronco". Ma poi licenziata di che? Devono solo aspettare che mi scada il contratto - tra poco poco poco pochissimo - e lasciarmi a casa. Cosa che tra l'altro potrebbe accadere anche senza un mio post sull'ufficio, e senza che venga scoperto.

Stamattina mi piaceva come mi ero vestita. Abitino (ereditato da mia sorella, sulla quale prima o poi scriverò), un filo di trucco, scarpa con mezzo tacco. Poi mi guardo dopo un'ora in ufficio e penso che potevo truccarmi un po' di più, e un po' meglio (per intenderci, per me un filo di trucco equivale a mettere il mascara). Prima della pausa pranzo, penso che forse se fossi più magra mi piacerei di più. Dopo il pranzo, penso che ho mangiato poco, e sono orgogliosa di me. Non lo sarò più quando tra 45 minuti avrò fame. E se mi guardo bene allo specchio vedo anche le rughe e le occhiaie.

Ho comunicato il link del blog alla mia prima amica (vera, intendo, l'altra blogger che lo sa non la conosco di persona) (ciao Elena!). L'ho detto a Cody lui non ha quasi reagito. Ma come, penso, non ti offendi? Non volevi essere il primo a leggere le mie bellissime parole, le mie creazioni? "No, amore, se vuoi che il blog lo leggano solo le tue amiche per me va bene".

Bibi. Ieri mi sono tragicamente accorta che sta crescendo. Di già. Sa togliersi i sandaletti e rimetterli, da solo. Arriva al ripiano della cucina, su cui appoggia il ciuccio prima di bere, e beve dal bicchiere. Riesce, quando vuole, a mangiare un pasto intero con la forchetta, infilzando la pappa con una precisione e concentrazione che io trovo commoventi. Riesce ad addormentarsi solo tenendomi la mano, quasi senza quel contatto fisico che a me, invece, manca. E parla con una proprietà di linguaggio incredibile per la sua età. Ieri mi ha detto, con sguardo speranzoso: "Mamma, queta è tua machina. Queta è mia machina. Giochiamo?" E io stavo cucinando. Inizio già a sentirmi in colpa... e ha solo due anni.

A volte mi sento brava. Questo weekend ho fatto un sacco di cose, dalle pulizie a due ore di gioco solo io e Bibi ai giardini, da un po' di tempo col marito ad aver eliminato tutta, e dico tutta, la pila di cose da stirare. A volte invece la casa è sporca, la cena non è pronta, non ho tempo di dedicarmi a nessuno dei miei due uomini e magari il lavoro mi stressa. E se non si vende, inutile nascondersi dietro a un dito, è anche colpa mia. A volte lo sento, che è colpa mia. E a volte ci provo a cambiare le cose, giuro. A volte invece no, mi deprimo e basta.

La ragazza di un mio amico ha avuto un ictus. 33 anni, come si suol dire, l'hanno presa per i capelli. Hanno appena comprato casa, si vogliono bene. E io l'ho saputo 10 giorni fa e non l'ho ancora chiamato. Cosa gli dico? Mi dispiace? Beh, vorrei anche vedere. Se hai bisogno di qualcosa sono qui? Ma và, lui è in Toscana, e poi non ci sentiamo nemmeno più spesso. Ti sono vicina? Questa penso stimolerebbe l'insulto. Ecco, quindi non lo chiamo perché non saprei cosa dire. Vorrei solo dirgli che ho saputo, e non so come ci si può sentire, che però gli penso, e che vorrei davvero poter fare qualcosa per loro ma so che non posso. Ecco. Magari stasera gli telefono.

Dato che quando si è in tre, i conti non tornano maledettamente mai, Cody ha creato un file excel per tenere monitorate le spese. Settimana scorsa mi ha detto che ultimamente spendiamo abbastanza poco.. e ho dovuto confessare che io è da aprile che non lo aggiorno, quel file. Ci è rimasto male. 
Ma da buon ingegnere ha trovato la soluzione: una deadline! "Entro il 10 del mese devi aggiornare il file al mese precedente, in questo caso a tutti i mesi precedenti". Ieri sera. Io: "Amore...? Coccole o spese?" (faccia da gattina, che so che non mi viene bene e sembro un'ebete ma lui il messaggio lo coglie lo stesso). Lui: "Va beh, dai, facciamo che il file lo aggiorni entro il 15". Eheh.

lunedì 9 settembre 2013

Barbecue e tiggì

In casa nostra, in cucina non c’è la tv. Un po’ perché non eravamo sicuri di volerla, e un po’ perché nella nostra cucina abitabile-ma-piccola non c’era molto posto.. e meno male, visto che nell’unico riquadro di muro di cui avevo detto “Beh, forse un domani poi la mettiamo lì”, c’è finita la porta del soppalco-contenitore, molto più utile. 
Quando mangiamo, quindi, si fa conversazione o più solitamente si urla contro Bibi, quando inizia a sputare la pappa o ancora meglio a spalmarla sul muro.

Ieri sera abbiamo grigliato. Sul balcone. Eddài, siamo all’ultimo piano, non abbiamo affumicato nessuno.. e poi le costine alla griglia sono uno dei pochi cibi che mi fanno impazzire seriamente. 
Insomma, Cody grigliava (e grondava) sul balcone, chiuso fuori, io e Bibi chiusi dentro ad apparecchiare - quasi - insieme e a fare l’insalata di pomodori. Mi ha voluto passare lui i pomodori dal cestino, provando a infilarsene in bocca un paio, e poi mi ha aiutata portando in sala i tovaglioli e il suo bicchiere. 
Che tenerezza, vedere che a due anni è già grande, per tante cose. E che sollievo, vedere che poi è ancora piccolo, come quando è scoppiato a piangere perché ho preso un pomodorino dal sacchetto da sola, e voleva passarmeli tutti lui… "Maaa..aaammaa... fa... fa... faccio solo!!"
E finalmente, si cena in sala. La sua prima cena in sala, con la tele accesa. Diciamo la sua prima “vera” cena, la prima da quando mangia proprio come noi e da quando parla così bene.

È stato sociologicamente interessante vedere il suo rapporto con la televisione.

Telegiornale. 
Prima notizia, il Gran Premio. Bibi: “Mamma! La Ferrari!” Ha ricevuto per il compleanno una macchinina Ferrari, gli abbiamo fatto vedere i cartoni di Cars e quindi si è esaltato tutto. “Ferrari” lui la pronuncia un po’ “Feuuauui” perché ancora abbiamo dei problemi con la erre, e se la genetica non mente, li avrà ancora per una decina d’anni. 
Seconda notizia: non ricordo cosa. “Ma io non voio queto cattone! Io voio la Feuuauui!” “Amore, non è un cartone, sono le notizie.” “epeché?” “Perché questo è il tg, danno le notizie”. 
Finisce il telegiornale, inizia un programma di cucina.
“Mamma, chi è queta signoua?” “E’ una signore che cucina” “E come si chiama?” “Si chiama Benedetta”. In tv, la cuoca-signora Benedetta illustra gli ingredienti della ricetta che sta per presentare: “250g di pasta, olive, pomodori..” la voce di Bibi si accavalla alla sua. Ha preso dal suo piatto un pomodorino e urla alla tv: “signoua, eccoli, noi ce li abbiamo i pomodoui”! 
Io e suo padre ci sbellichiamo dalle risate.


Posso dirlo? In fondo, mi sono sentita orgogliosa che nostro figlio, ancora oggi, non abbia ben chiaro che cos’è la televisione e non conosca i telegiornali o i programmi di cucina. Lui conosce solo una maialina che salta nelle pozzanghere di fango, degli esseri colorati che cambiano forma e una cagnolona bianca a pois rossi. E svariati personaggi dei film per bambini più famosi (che io e Cody guardiamo solo per fargli piacere, certo…)

giovedì 5 settembre 2013

Digito ergo...

Ho scoperto un altro blog, di una mamma (tanto per cambiare) con una bambina e due gemelli maschi, che mi fa morire dal ridere. Come sempre, quando scopro un nuovo blog, tra una cosa e l’altra di lavoro lo leggo TUTTO, partendo dai post più vecchi. E mi spiscio dal ridere per cose magari successe 4 o 5 anni fa. 
Il bello è che intanto, intorno a me, i colleghi e i capi lavorano. Ciò sottintende due cose. Uno, che il mio lavoro potrei benissimo svolgerlo part-time. Due, che sono un’incosciente: con un contratto in scadenza (e con non troppe possibilità di rinnovo) mi faccio bellamente i fatti miei in ufficio. Secondo me, però, NESSUNO lavora otto ore filate in un ufficio. Solo che se mi beccano secondo me mi defenestrano direttamente.

Va beh, oggi pensavo anche che in realtà avere un blog inizia ad avere senso solo se qualcuno lo conosce, se qualcuno ti legge e magari ogni tanto ti commenta. Altrimenti potevo comprare un diario segreto (o finire quello dell’Erasmus, scritto solo per metà, e tra l’altro per gran parte in tedesco). Insomma, inizierò a dire a qualcuno che ho un blog. Forse. Iniziamo a dirlo ad altri blogger, che non mi conoscono mica di persona.
E magari diciamo a Cody che il blog poi l’ho aperto davvero. Conoscendolo, mi becca in cinque minuti, smanettone com’è. Mentre io, che mi autodefinisco una demente tecnologica, ho capito solo oggi come cambiarmi il nome utente su google. Che poi Cinzia Rossi mica è il mio nome vero. Ma magari qualche vera Cinzia Rossi si offende.


Ehi, altri blogger? Qualcuno mi ha mai letta? Voi come avete fatto all’inizio, a far sapere al mondo che esistevate? O siete stati scoperti per caso?

mercoledì 4 settembre 2013

E la torta a me!

Ieri era il mio compleanno.
Niente di speciale, pensavo.
E invece abbiamo festeggiato tipo matrimonio indiano. Cominciando il sabato e finendo ieri sera, tra l’altro proprio al ristorante indiano. E nessuno dica che festeggiare in anticipo porta sfortuna, io mi sono divertita un sacco!

Sabato pranzo dai suoceri. C’era pure mio nipote, bimbo che vive in Inghilterra ma che dopo le vacanze estive passa sempre qualche giorno da solo dai nonni. Pranzo, torta con tanto di targhetta “Tanti auguri Cinzia” al cioccolato bianco, e poi regali. Il più commovente, il regalo fatto per me dal nipote di nove anni… un bambino di quelli che alla sua età sono ancora bambini, per fortuna. Bellissimo, con tanti cuoricini. 
Il più “figo”, però, è stato l’altro regalo, da suoceri e cognati insieme: l’essiccatore, sul quale ho intenzione di scrivere a breve un post. Mi basti, per ora, dire che da sabato ho già essiccato circa 2kg di frutta e ho progetti per le settimane future, fino ai regali di Natale.

Sabato sera coppia di amici a cena, ho cucinato la pizza e abbiamo fatto un brindisino in anticipo.

Domenica, pranzo con i miei, mia sorella e congiunto, e bis di nonne. Un pranzo dei soliti nella mia famiglia, rumoroso, dove mia mamma ha l’ansia da prestazione (è convinta da 30 anni di non saper cucinare) e mette in tavola dituttodipiù, le mie nonne si accavallano nei discorsi e si contendono l’attenzione di Cody e soprattutto del nuovo arrivato in famiglia, il ragazzo di mia sorella. Insomma, ogni volta che pranziamo tutti insieme mi sembra di stare in un film. Dopo mangiato, prima che il Nano si addormenti sul tavolo, mi danno il secondo round di regali. Due biglietti per uno spettacolo teatrale dai miei – adoro il teatro ma per cause nanesche lo frequento poco ultimamente – per andarci “con chi voglio”, un super completino intimo dalla sister, impegnata nella missione umanitaria “Salviamo mia sorella dal sembrare sempre perennemente una sbalzata qui dagli anni ’80 e passata attraverso una centrifuga”, dei fiori dalla new entry – adooooro gli uomini che regalano i fiori – e da mia nonna una catenina d’oro. Quando è morto il nonno, lei ha dichiarato che non avrebbe lasciato a noi l’arduo compito, un giorno, di spartirci i suoi gioielli e possedimenti vari, e da allora sta dividendo la sua eredità tra nuore e nipoti. Questa volta era la collanina comprata durante il viaggio in Giordania fatto con i soldi della liquidazione del nonno. Semplice, bella. Credo che la userò, qualche volta. Non come la collana che mi ha fatto al matrimonio, sicuramente di più alto valore, ma che potrò usare solo tra almeno 15 anni, rischiando altrimenti di sembrare una che ha rubato i gioielli di qualche zia settantenne.

Ieri sera, infine, cena con Cody al ristorante indiano. Uno dei più buoni di Milano, dicono alcuni siti di recensioni. A noi piace. E poi ci siamo andati in moto, cosa che non accadeva da quando ero rimasta incinta. La cena è stata come sempre all’altezza, anche se abbiamo mangiato (come sempre) un po’ troppo. I regali: un bellissimo bigliettino (che poi per me è la parte più importante), dove tra le altre cose c’era scritto “Sei la mia metà, tu sei me”, che fa molto Cime tempestose e mi ha davvero commossa. E poi una borsa davvero da donna adulta, rossa e gialla e verde con il muso di Hello Spank. Scelta da me mesi fa, che lui si è ricordato di comprare.

Insomma, un bellissimo compleanno.

Mentre risalivamo in casa, all’alba delle 10,20 (la nonna baby-sitter si alza prima di noi, al mattino), ho pensato che questa è la vita che sognavo da bambina. (cit.)
Lavoro, nel tempo fuori dall’ufficio devo sempre correre, e arrivo sempre in ritardo su tutto, ho un figlio che sono sicura di non vedere mai abbastanza e un marito a cui non dedico mai abbastanza attenzioni, una casa sempre troppo poco pulita e troppo piena di cose che non mi decido a buttare. Prego troppo poco, non sento gli amici per settimane, stiro solo a tarda sera, con gli occhi già semichiusi, e non ho ancora scelto le foto del matrimonio per l’album di nozze. Ma è questa la vita che volevo. Piano piano, la sto costruendo.


Ah, compivo 28 anni.